Quando “essere d’aiuto” diventa spiritualmente offensivo
Come possiamo riconoscerlo e prevenirlo nelle nostre chiese e comunità?
Questo articolo di Karen Holford si basa su una sua presentazione fatta al team della Regione transeuropea della Chiesa avventista, a St. Albans, in Inghilterra. Nella trascrizione è stato mantenuto un linguaggio discorsivo. Lo pubblichiamo in occasione della Giornata enditnow® 2022.
La Bibbia ci incoraggia più volte ad aiutarci a vicenda, a essere amorevoli, a dire o fare cose positive ed edificanti. Tutto ciò è facile per la maggior parte di noi e possiamo davvero aiutare e incoraggiare qualcuno che vive una crisi. Ma a volte, nei nostri sforzi per dare aiuto, facciamo o diciamo qualcosa che è doloroso. Il nostro comportamento abbatte quella persona, creando una situazione che può essere dannosa o addirittura, a volte, abusiva.
In genere non si tratta del commento sconsiderato occasionale, che non è comunque giusto, bensì è il modo più costante di pensare, parlare e comportarsi che è dannoso per gli altri. Una cosa inutile o malsana da dire potrebbe suonare così:
“Perché oggi non hai preso il pane della santa Cena?”.
“Oh, sono intollerante al frumento. Se lo mangiassi, starei male per sei settimane”.
“Beh, questo dimostra una completa mancanza di fede in Dio. Se credessi in Dio, mangeresti il pane della santa Cena e lui si prenderebbe cura di te”.
Riconoscere l’abuso spirituale
Come possiamo capire quando qualcosa che diciamo o facciamo passa dall’essere semplicemente “non utile” o “insano” all’essere spiritualmente offensivo?
Consideriamo una definizione. Se un approccio nocivo diventa un modello persistente di comportamento teso al controllo coercitivo, quel modello riflette la definizione di abuso psicologico con una logica religiosa. Può varcare la soglia dell’abuso spirituale. Gli autori di abusi spirituali sono generalmente persone della stessa fede e spesso si trovano in una posizione di potere all’interno della comunità spirituale o all’interno della famiglia.
Nel 2013, i sociologi L. Oakley e K. Kinmond hanno osservato: “L’abuso spirituale è la coercizione e il controllo di un individuo da parte di un altro in un contesto spirituale. Il bersaglio, o vittima, vive l’abuso spirituale come un attacco personale profondamente emotivo”.[1]
Gli autori continuano: “Tale abuso può includere manipolazione e sfruttamento, responsabilità forzata, censura del processo decisionale, requisiti di segretezza e silenzio, pressione per conformarsi, uso improprio della Scrittura o del pulpito per controllare i comportamenti, requisito di obbedienza all’abusante, suggerimento che l’abusante ha una posizione ‘divina’, e isolamento dagli altri, specialmente da quelli esterni al contesto abusivo”.[2]
Motivi per giustificare l’abuso spirituale
Ho riscontrato alcune “convinzioni inutili”, sostenute da abusatori, che spesso sono alla base dell’abuso che si verifica in contesti spirituali. Ecco sei motivi che ho sentito:
1. “Sono responsabile della mia famiglia, della mia chiesa e devo fare tutto il necessario, anche se fa male, per aiutarli a essere perfetti”.
2. “Sono il capo della famiglia, della chiesa e devo dimostrare di essere al comando”.
3. “È giusto trattare la mia famiglia/i membri della chiesa e gli altri come voglio”.
4. “Sono responsabile e tenuto a rendere conto della salvezza dei miei familiari e degli altri membri di chiesa; quindi, devo fare il possibile perché facciano le cose giuste”.
5. “Nella mia vita mi sono sentito fuori controllo perché sono stato anche maltrattato, e ora provo sicurezza quando ho il controllo”.
6. “I miei genitori mi hanno cresciuto in questo modo e sono ancora in chiesa, perciò, so che una disciplina inflessibile fa bene alle persone”.
Un esempio di abuso spirituale
Consideriamo un esempio sulla decima e sull’amministrazione, e vediamo come potrebbe passare da un approccio sano a uno abusivo.
Un approccio salutare sarebbe quello di dire qualcosa del tipo: “Abbiamo tutti possibilità diverse nel dare. Alcuni di noi hanno gravi difficoltà finanziarie. Dio lo comprende. Non vi è coercizione. Dona solo quanto ti senti pronto a dare secondo il tuo cuore e ciò che ritieni giusto dare. E se non puoi, va bene lo stesso. Dio capisce”.
Allo stesso modo, un approccio non d’aiuto potrebbe suonare così: “Beh, se solo tu gestissi meglio le tue finanze, allora saresti in grado di dare di più alla chiesa. Se non spendessi così tanto per i vestiti, se non comprassi alimenti costosi e ti accontentassi di cose semplici, allora potresti dare di più alla chiesa”.
Un comportamento malsano si verifica quando le persone fanno pressioni su individui o gruppi affinché diano soldi alla chiesa o a un progetto correlato alla chiesa, dicendo: “Dio benedirà solo coloro che danno tanto”, o trattando le persone in modo diverso in base alla loro capacità di fare una donazione. Si manifesta anche quando qualcuno parla in modo cautelativo e critico con persone che non possono dare ciò che ci si aspetta e si desidera da loro, buttandole giù, giudicandole, essendo maleducati con loro e facendole vergognare, forse anche in pubblico.
Quando si cade nell’abuso spirituale, possono esserci richieste di donazione costanti, invadenti e coercitive, spesso supportate dalla Scrittura. Possono includere messaggi ed e-mail regolari inviati alle persone, confronti frequenti, richieste di più soldi o il suggerire che la fiducia in Dio si dimostra con quanto si dona. E se non dai molto, significa che non hai davvero fiducia in Dio. A volte si può arrivare a spaventose minacce di conseguenze spirituali, nel tentativo di usare la paura per costringere le persone a dare.
Se questo comportamento si ripete regolarmente e causa angoscia, è un abuso spirituale. Non è coerente con i valori fondamentali di una sana comunità spirituale, che consistono nell’amare Dio e gli altri. Se la vittima di questo comportamento è un bambino o un adulto vulnerabile, si tratta di una grave violazione delle pratiche di tutela. Incidenti di questo tipo dovrebbero essere segnalati attraverso i canali corretti all’interno della vostra comunità ecclesiale. È pericoloso quando un bambino è vittima di bullismo al fine di portare denaro per una buona causa o quando ci si approfitta di un adulto vulnerabile per fargli mettere tutti i risparmi in un progetto perché è la missione di Dio.
Aiutare chi ha subito abusi spirituali
Gli effetti dell’abuso spirituale sono devastanti e possono distorcere o addirittura mandare in frantumi l’immagine che una persona ha di Dio. Non rappresenta un’immagine sana di Dio, che la Scrittura rivela essere amorevole, gentile e premuroso. Quando qualcuno subisce abusi spirituali, ne risentono la sua fede e fiducia in Dio e nella comunità spirituale. Si scoraggia e può arrivare a voler rinunciare a Dio.
“In effetti, i tassi di perpetrazione di abusi all’interno della chiesa sono più o meno gli stessi di quelli che si verificano nella popolazione in generale. È solo che spesso vengono spazzati sotto il tappeto, ignorati o cancellati. Le persone indossano le loro ‘facce da chiesa’ e fanno finta che tutto vada bene. Le chiese dovrebbero essere luoghi sicuri per le persone che subiscono abusi, dove possono trovare conforto, aiuto e guarigione. Purtroppo, la situazione è spesso l’esatto opposto, perché l’abuso delle Scritture per manipolare una donna affinché tolleri il male non si limita agli abusatori. Forse con le migliori intenzioni e spesso dettati dalla buona volontà, le chiese a volte usano la Bibbia per peggiorare la situazione di una donna, quando finalmente trova il coraggio di rivelare la sua situazione”.[3]
È importante imparare a riconoscere le situazioni che potrebbero verificarsi intorno a noi e cercare modi per portare guarigione. Se non facciamo parte della guarigione, potremmo essere parte del dolore. Un posto dove guardare è come Gesù ha vissuto la sua vita terrena. Nei Vangeli lo vediamo proteso sempre alla ricerca degli oppressi, degli emarginati, degli abusati, dei respinti, della donna colta in adulterio, della donna al pozzo.
Il Salmo 103 dice: “Il Signore è pietoso e clemente, lento all’ira e ricco di bontà. Egli non contesta in eterno, né serba la sua ira per sempre. Egli non ci tratta secondo i nostri peccati, e non ci castiga in proporzione alle nostre colpe. Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così è grande la sua bontà verso quelli che lo temono. Come è lontano l’oriente dall’occidente, così ha egli allontanato da noi le nostre colpe. Come un padre è pietoso verso i suoi figli, così è pietoso il Signore verso quelli che lo temono. Poiché egli conosce la nostra natura; egli si ricorda che siamo polvere” (vv. 8-14).
Dio ha compassione perché è compassione. Sa come ci ha fatto. Sa che ci ha fatto di polvere e terra, e che diventiamo fangosi e fragili, e la polvere cade, e ci crepa e ci rompiamo. E Dio dice ti amo comunque. Ti ho fatto. Sei la mia preziosa figlia, il mio prezioso figlio. Niente mi impedirà di amarti. Voglio fare tutto il possibile per proteggerti, per risollevarti, per portarti gioia, per benedirti, perché ti amo.
Questo è il tipo di amore che Dio ha per noi. Vuole riempire i nostri cuori con quell’amore, in modo che fluisca verso coloro che ci circondano e scacci tutti gli abusi, per riempire quello spazio doloroso con amore, grazia e risate, gioia e compassione, abbracci, canzoni e cose meravigliose.
Un modo in cui possiamo essere parte della guarigione è conferire potere agli altri, incoraggiando le persone che vivono questi dolorosi contesti spirituali a sviluppare autonomia, non permettendo a se stesse di essere spinte verso il basso ed essere sopraffatte dalle pressioni e dalle manipolazioni di altre persone. Possiamo aiutarle a riconoscere che: “Questo è un abuso. Non lo tollero. Voglio trovare un’esperienza sana e spirituale”.
Vogliamo incoraggiarli a svilupparsi come individui che possono pensare da soli, che possono esprimere disaccordo o preoccupazione. Questo è il tipo di comunità che crea relazioni sane. Possiamo avere differenze, e possiamo essere in disaccordo, e tuttavia continuare ad amare gli altri. Non dobbiamo costringere le persone a credere a modo nostro o a farlo a modo nostro. Costringere o forzare altre persone a conformarsi a noi e a obbedirci non fa parte di una sana comunità cristiana.
Ci ascoltiamo. Mostriamo empatia. Ci prendiamo cura l’uno dell’altro. Ci proteggiamo a vicenda e ci diamo sicurezza. Soprattutto, cerchiamo di mostrare l’amore di Dio gli uni agli altri in ogni modo possibile. I superstiti [delle violenze] potrebbero voler cercare chiese e dirigenti ecclesiastici che abbiano una buona comprensione degli abusi spirituali, degli abusi domestici o di qualsiasi altra forma di abuso che potrebbe verificarsi.
Dobbiamo anche stare attenti che le nostre siano parole che benedicono, che edificano gli altri, parole che sono doni per coloro con i quali parliamo. A volte diremo cose senza pensare, mettendo pesi sulle persone, facendole sentire che devono essere perfette e comportarsi in un certo modo, o fare una certa cosa per essere amati da Dio o per essere perdonati. Dobbiamo fare attenzione che le nostre parole non abbiano sfumature sottili che potrebbero offendere una persona vulnerabile, o essere capite nel senso che l’ascoltatore non sia abbastanza bravo, abbastanza perfetto, amato abbastanza o non possa essere perdonato.
Amo il modo in cui Paolo lo esprime in Efesini 4: “Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela, affinché conferisca grazia a chi l’ascolta” (v. 29)
Ogni giorno dovremmo chiederci: “Ciò che faccio e dico allontana le persone dal Signore e le porta ad avere paura di me e di Dio?”. E poi in risposta: “Quello che faccio e dico avvicina le persone a Dio e le aiuta a sperimentare il suo amore e il mio?”
Quale tipo di persona vogliamo essere davvero? Come possiamo portare buone notizie, pace e amore a chi soffre; guarire chi è ferito e confortare chi è angosciato?
Note
[1] L. Oakley e K. Kinmond, Breaking the Silence on Spiritual Abuse, Palgrave Macmillan, Londra, 2013, p. 21.
[2] Ibidem.
[3] H. Paynter, The Bible Doesn’t Tell Me So, Bible Reading Fellowship, Abingdon, U.K., 2020, pp. 15, 16.
Karen Holford è terapeuta familiare e direttrice dei Ministeri Femminili, in favore dei Bambini e della Famiglia presso la Regione transeuropea (Ted) della Chiesa avventista.
[Fonte: Adventist Review. Traduzione: L. Ferrara]